È napoletana la prima casa discografica italiana

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Dove e quando nacque la prima casa discografica italiana? La storia racconta di un tale che, agli inizi del ‘900 ebbe per primo in Italia l’idea di fondarne una nella sua città, Napoli. Scopriamo com’è andata.

Raffaele Esposito: da stalliere a discografico

Era il 1901. Napoli godeva di un invidiabile splendore. Raffaele Esposito conduceva una vita agiata grazie alla conquistata fama di noto produttore di selle ed accessori per cavalli. Nel corso della sua carriera, fu in grado di attirare le attenzioni dei più disparati clienti, arrivando addirittura a servire la famiglia reale dei Savoia.

La bottega di successo, situata in via Enrico De Marinis, nei pressi di via Mezzocannone, nel cuore del centro storico di Napoli, divenne in poco tempo un via vai di clienti. Insieme alla nomina di Cavaliere, ciò gli permise di acquistare una lussuosa villa a Capodimonte, come dimora per sè e la famiglia.

Da grande appassionato di musica lirica, Raffaele decise di abbellire le camere con uno strumento esclusivo, ai tempi riservato a pochi: il grammofono. Acquistando dischi stranieri, Esposito ebbe la grande idea: fondare una casa di produzione discografica a Napoli.

Società Fonografica Napoletana: il primato napoletano

Raffaele Esposito si attrezzò dapprima con un negozio di rivendita di grammofoni, uno in Calata Sant’Anna dei Lombardi e una succursale in via Roma per poi fare il grande salto: la ditta che riuscì a mettere in piedi si trasformò in Fratelli Esposito di Raffaele e da semplice rivenditore, divenne in breve tempo produttore discografico.

Fonte foto: radionapoli.it

Il primo marchio ufficiale utilizzato da Esposito fu Società Fonografica Napoletana e vide i primi contratti intorno al 1909: ingaggiò interpreti napoletani, tra cui Gennaro Pasquariello e un direttore d’orchestra, Barna Felsmann. La filiera musicale era a quel punto completa: le canzoni vennero da quel momento in poi vennero  registrate dal vivo e stampate su 78 giri. Il tutto realizzato per la prima volta in Italia, nel cuore di Napoli.

L’evoluzione in Phonotype Record

Il marchio Società Fonografica Napoletana si trasformò nel giro di poco tempo in  Phonotype Record, intorno al 1911. L’etichetta si impose agevolmente sul mercato nazionale e nel 1924 oltrepassò i confini del vecchio continente raggiungendo addirittura gli U.S.A con l’acquisizione della Klarophone Record.

Il catalogo della Phonotype Record era prevalentemente incentrato sulle canzoni napoletane e il suo ruolo fu centrale per la loro affermazione. La casa discografica napoletana vanta una storia incredibile di dischi che ancora oggi ricordiamo, intoniamo e balliamo, a distanza di secoli.

All’epoca registravano da noi tutti i cantanti” ricordava Enzo Esposito, ai tempi proprietario della struttura insieme ai fratelli Fernando e Roberto. “I nostri studi sono stati scelti da John Turturro per realizzare alcune scene del suo film dedicato alla canzone napoletana”.

I brani incisi

La Phonotype Record divenne tra le sale di registrazione più antiche e prestigiose d’Europa. Da Enrico Caruso a Sergio Bruni, da Murolo a Totò. Reginella, Malafemmena, Arrivederci a Napoli sono solo alcuni degli immensi brani incisi tra quelle magiche mura. Un concentrato di arte, musica e poesia rinnovato di anno in anno, nel corso dei secoli.

Passò di lì un giovanissimo Claudio Baglioni, ai tempi di “E Tu”, un impacciato Peppino di Capri, il caschetto più famoso d’Italia Nino D’Angelo, fino ad arrivare ai tempi più recenti con Bennato, gli Almamegretta e i Foja.

La Phonotype Record oggi

La Phonotype conobbe una battuta d’arresto che portò le sale d’incisione a fermare la loro produzione, lasciando in uno stato d’abbandono anche il grande e preziosissimo archivio musicale custodito in quegli spazi e rimase per lungo tempo accatastato, in preda all’incuria.

A salvare la sala di produzione ed incisione musicale più antica,  ci fu un gruppo di giovani napoletani, tutti esperti e professionisti del mondo della musica, pronti ad impegnarsi per il  rilancio della vecchia casa discografica. Fu così ribattezzata “Auditorium Novecento” e Fernando Esposito, allora 88enne e ultimo della dinastia di fondatori, decise di “passare il testimone” alle giovani generazioni.

Da allora la sala di incisione riprese a funzionare, e riuscì a far incidere a tre fra i migliori bluesmen al mondo, Corey Harris,  Alvin Youngblood Hart e Cedric Watson, il primo disco di blues internazionale registrato interamente a Napoli.

 


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