Sanremo 2022: le cover di cui avevamo bisogno (o forse no)

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Fonte foto: ilsussidiario

Sanremo 2022 quarto atto, noto come serata delle cover, dei duetti insoliti e del karaoke da casa, da protagonisti o spettatori, tra un apprezzamento e un insulto.

Certo, la scelta della canzone più giusta, coinvolgente e adatta, presa dal vastissimo repertorio nazionale e mondiale dai ’60 ai ’90 è un’arma a doppio taglio. Se da un lato il rifugiarsi in un grande classico può farti sentire più sicuro, con l’ondeggiamento di braccia della platea assicurato, dall’altra ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un potenziale suicidio. Ebbene, ieri abbiamo assistito all’insano gesto di molti degli artisti in gara. Per fortuna non tutti.

Qui le esibizioni che hanno lasciato il segno:

Gianni Morandi con Jovanotti e Mousse T“Medley” (Gianni Morandi e Jovanotti)

Hanno vinto già alla prima nota per lo spirito, l’intesa e la voglia di divertirsi. Un premio quello della serata delle cover, che in realtà corona una carriera lunga tante decadi e Festival. Gianni Morandi ha quel dono di infonderti una fiducia e positività costante; Jovanotti, autore del brano in gara Apri tutte le porte riesce a tradurre musicalmente il tutto, con la sua buona dose di energia.

Achille Lauro con Loredana Bertè “Sei bellissima”

Partendo dal presupposto che con la Bertè si vince facile, è apprezzabile il fatto che Lauro abbia lasciato l’intera scena alla rocker dai capelli blu, ritagliandosi un modesto angolino. Nessuna mossa provocatoria, nessuna esagerazione nell’interpretazione. Un educatissimo e doveroso inchino alla regina, seguito da una lettera ruffiana quanto basta, ma sorprendentemente d’impatto.

Rkomi con i Calibro 35 “Medley” (Vasco Rossi)

Arrangiamento vincente e trascinante quello scelto, meno l’assenza di maglia di Mirko che, invece, mostra fiero il risultato di un allenamento che dirà di farlo sentire meglio psicologicamente. Fisicate a parte, il risultato finale è credibile.

La Rappresentante di Lista con Cosmo, Margherita Vicario e Ginevra “Be My Baby” (Ronettes)

Ma la bellezza di una versione breakbeat del classicone da feste in casa anni ’60? Il giradischi polveroso viene accantonato per una credibile rivisitazione elettronica del brano a cura di Cosmo, (che non si lascia sfuggire l’occasione per lanciare un messaggio contro il greenwashing del Festival); i coretti della Vicario e Ginevra danno quel valore aggiunto all’ineccepibile voce di Veronica. Gran bel risultato.

Giovanni Truppi con Vinicio Capossela e Mauro Pagani “Nella mia ora di libertà” (Fabrizio De André)

Che responsabilità portare il peso della storia. Truppi, sebbene fisicamente faccia pensare il contrario, complice l’immancabile canottiera, ha le spalle larghe e divide la fatica con Capossela e Pagani. Una rivisitazione del pezzo che incolla occhi e orecchie alla tv. Un bel momento.

Elisa “What a Feeling” (Irene Cara)

Elisa sta bene su tutto. Potremmo proporle anche la sigla di un cartone animato e verrebbe da candidarlo ai Grammy. Elena D’Amario riempie quel poco di palco che l’ingombrante presenza vocale le ha lasciato.

Mahmood e Blanco “Il cielo in una stanza” (Gino Paoli)

Questo è un pezzo che solo Gino Paoli può cantare. Ma, se proprio dovessimo concederla, la lasceremmo ancora nelle gentili corde di Mahmood e Blanco. Delicati e fedeli alla versione originale.

Irama con Gianluca Grignani “La mia storia tra le dita” (Gianluca Grignani)

Grignani torna dopo chissà quanti anni su un palco così importante. Il pezzo rimane una perla, ma sfortunatamente stavolta  pecca di un su le mani di troppo tra il pubblico e la paura che possa succedere qualcosa di inaspettato da un momento all’altro. Irama, che si gioca classifica e visibilità, lo prende sotto braccio e accompagna Grignani a riprendersi quello che gli spetta. Emozionante.

Le cover di cui avremmo fatto a meno

Emma si lascia accompagnare da, pensate un po’, Francesca Michielin, ragazza dalle molteplici manie di protagonismo, ora direttore d’orchestra, ora compagna di un duo dalle non chiare intenzioni interpretative. Baby One more Time simbolo del pop di fine ’90 di una sexy scolaretta americana, avrebbe richiesto un tocco ironico, divertito e soprattutto spontaneo, purtroppo non pervenuto. Molti grideranno ancora al mito (l’hanno fatto a prescindere, solo leggendo la scelta della canzone). Ma voi avete riso con quella coreografia forzatamente simpatica? Emma porterebbe tutto su un piano diverso, a favore di un messaggio più profondo, più impegnato e inevitabilmente più pesante, anche quando non sarebbe il caso. Un invito a divertirsi di più, ma in modo sincero.

Sembra impossibile pescare nel repertorio italiano e non acchiappare un pezzo di Battisti. Giusy Ferreri non si è sottratta a questa irresistibile tentazione e ha osato, confermando che questo non è assolutamente il suo Sanremo vincente. Anche Michele Bravi è caduto nella trappola, con Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi. Per carità, non siamo ai livelli della regina dei tormentoni estivi, ma il sussurrato sofferente fa perdere il gusto di quel capolavoro di Lucio. Recupera emotivamente punti a fine esibizione, dedicando il pezzo ai nonni.

Ana Mena e Rocco Hunt,  in un medley di Jimmy Fontana, Alan Sorrenti, Julio Iglesias, trasformano l’Ariston in una piazza di paese, quando, in occasione della tanto attesa sagra, allestiscono l’angolo karaoke e lì si fa avanti la ragazzina che finalmente può fare sfoggio delle sue doti vocali finora rimaste tra le quattro mura domestiche.

Ed eccolo, l’ultimo degli ultimi, in ordine di esibizione e di tutte le classifiche finora lette. Tananai fa un tributo anticipato e assolutamente non richiesto alla Carrà con A far l’amore comincia tu. Del ragazzo apprezziamo sempre la vena divertita e lo spirito con cui affronta l’affezionatissimo 25esimo posto, ma a tutto c’è un limite. La Raffa per fortuna non ha potuto ascoltare o comunque, nel malaugurato caso lo avesse fatto, verrà degnamente ricordata stasera da qualcun altro.

 

 

 

 

 


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