Fonte foto: La Gazzetta Meridionale
Per parlarvi dell’iniziativa di Prima Bio contro il caporalato scelgo un incipit duro perché rimanga ben impressa l’immagine.
I dannati della nostra epoca. Vivono accanto a noi. Nelle campagne del Piemonte, nelle vigne del Veneto, nelle industrie lombarde, nelle campagne a pochi chilometri da Roma, nelle terre d’oro della Puglia. Un nome su tutti che tuona: Camara, 27 anni, morto di troppo lavoro, stramazzato in terra, all’improvviso, come frutto maturo di un albero incolto.
Un’esistenza segnata dalla sofferenza e finita brutalmente. Sono tanti. Bruciati vivi come torce, mentre provavano a riscaldarsi, annegati come animali stremati dalla sete, precipitando nei pozzi su cui si erano sporti nella speranza di trovare acqua. Ad alcuni, il cuore è esploso, perché infartuato da eroina e antidepressivi somministrati come anestetico alla fatica.
Chi sono davvero questi dannati?
Li chiamano “lavoratori stagionali dell’agricoltura”. Sono donne e uomini per la maggior parte stranieri, hanno dai 18 ai 60 anni. Sono diversi tra loro eppure, tutti uguali. Con il loro lavoro ci danno da mangiare. Il caporalato li paga forse 2,00 euro per ogni ora di lavoro, con 40 gradi all’ombra, con la testa piegata verso terra dall’alba al tramonto. Ingrassano i guadagni della grande distribuzione. Di loro si sente spesso parlare e accade che, ciclicamente, guadagnino un po’ di indignazione. Eppure, in questi anni, si è fatto poco perché venga loro riconosciuta dignità, perché si debelli lo sfruttamento, perché si faccia giustizia. Ma nel mare dell’indifferenza mediatica e sociale, ci sono gocce a cui è bene dare risalto.
La differenza
L’azienda agricola Prima Bio è una di queste gocce. Sta infatti prendendo il via una selezione di 50 lavoratori extracomunitari da assumere con regolare contratto di lavoro stagionale, nella raccolta dei pomodori per la campagna 2021-2022. L’iniziativa è inserita nell’ambito dell’intesa, avviata nel 2019, tra il Gruppo Megamark di Trani (BAT) e l’associazione anticaporalato ‘NO CAP’ che hanno dato vita alla prima filiera bio-etica contro il caporalato.
Oltre al regolare contratto di lavoro, che prevede 6,5 ore di lavoro e una paga giornaliera di 70 euro lordo (contro le 10 ore lavorative spesso imposte dai caporali per una paga di 30 euro, oltre al costo del trasporto su mezzi pericolosi), i cinquanta braccianti potranno alloggiare nel Villaggio Don Bosco gestito dalla Comunità Emmaus e raggiungere i campi di pomodori nel Gargano con un mezzo di trasporto messo loro gratuitamente a disposizione. Il raccolto sarà poi trasformato dall’azienda Prima Bio di Rignano Garganico in passate di pomodoro biologico con marchio di qualità etico ‘IAMME’ e distribuite nei supermercati del Gruppo Megamark a insegna A&O, Dok, Famila, Iperfamila e Sole365 presenti nel Mezzogiorno.
Certo sarà solo una voce su un milione, ma è importante che ci sia e che le si dia risonanza. Inoltre ha dichiarato Yvan Sagnet, presidente di ‘NO CAP’: “Lo sfruttamento lavorativo, agevolato dalla condizione di disagio e vulnerabilità del lavoratore, può essere contrastato anche dai cittadini che possono fare la loro parte scegliendo di comprare prodotti etici IAMME”
Francesco Pomarico, direttore operativo del Gruppo Megamark spiega che “è il nostro contributo per una società migliore. Anche il consumatore ha tra le mani un’arma potentissima per combattere la piaga del caporalato: informato su cosa porta in tavola, può scegliere consapevolmente cosa mettere nel carrello”.
Mi rimetto in gioco sempre. Cerco ogni giorno il meglio da me e per me. Curiosa, leggo e scrivo per passione. Imparo dal confronto, dalle critiche costruttive e rinasco cercando di superare i miei limiti. È così che approdo a nuove mete dopo scelte di studio e lavoro completamente diverse, quali la contabilità e un impiego in amministrazione in un’azienda privata e mi dedico a ciò che avrei dovuto fare fin dall’inizio.