Agitu Ideo Gudeta, classe 1978, era divenuta una imprenditrice molto nota nel settore caseario del Trentino Alto Adige dopo aver a lungo lottato contro le politiche di land grabbing in Etiopia. Era una attivista politica ed una ambientalista molto conosciuta e amata che, dopo il suo assassinio, è mancata molto alla sua comunità.
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Biografia
Era venuta in Italia per studiare a diciotto anni e si era laureata in Sociologia all’Università di Trento. Poi era tornata nella sua Etiopia impegnandosi politicamente nelle proteste pacifiche ad Addis Abeba contro l’industrializzazione selvaggia del suo Paese.
Ricevette molte minacce e decise di tornare in Italia nel 2010, come rifugiata.
Da una sua vecchia intervista:
“Quando sono arrivata a Trento, avevo 200 euro in tasca, niente di più. Ho trovato lavoro in un bar, per mantenermi, ma nel frattempo ho cominciato a pensare all’allevamento delle capre. In Etiopia avevo lavorato con i pastori nomadi del deserto e avevo imparato ad allevare le capre. Ho pensato che con tutti questi pascoli non sarebbe stato difficile fare del buon latte, visto che sappiamo produrlo nel deserto”.
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La capra felice
In Trentino Agitu imparò usi e costumi dell’agricoltura e dell’allevamento locali contaminandoli con quelli appresi dalla nonna materna in Etiopia. Decise di dedicarsi all’allevamento di una razza autoctona di capre: la Pezzata Mochena. Il suo allevamento La capra felice a Frassilongo in Valle dei Mocheni produceva con metodi naturali latticini e prodotti di bellezza. Nel suo lavoro metteva impegno ma, soprattutto, tanta passione. Raccontava:
“La soddisfazione più grande è quando le persone mi dicono che amano i miei formaggi perché sono buoni e hanno un sapore diverso. Mi ripaga di tutta la fatica e di tutti i pregiudizi che ho dovuto superare per farmi accettare come donna e come immigrata”.
Questo le valse nel 2015 il premio della Resistenza Casearia. La qualità dei suoi prodotti la portarono a rappresentare il Trentino all’Expo di Milano.
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Agitu, la donna
Era una donna forte e coraggiosa. Non temeva la fatica. Entrare nello spaccio della sua azienda era come andare a far visita ad un’amica. Aveva sempre la moka pronta da mettere sul fornello e le tazzine del servizio buono per offrirlo.
Le piaceva intrattenersi con i clienti, spesso turisti, e farsi raccontare da dove arrivavano e come l’avevano trovata. Dovendo descriverla con tre aggettivi sceglierei intelligente, appassionata e visionaria. Dovendo farlo con un’immagine sceglierei il suo sorriso.
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Agitu e la terra
Era nata in un Paese nel quale aveva dovuto imparare molto presto a lottare per la propria libertà e a distinguere tra giustizia e prevaricazione e tra diritti e sfruttamento. Aveva scelto di stare dalla parte di chi rispetta la terra e la coltiva per trarne sostentamento. Dopo essere tornata a Trento fu spesso ospite nelle scuole e ad eventi culturali per raccontare la sua storia. Ricevette in cambio il calore e l’affetto di chi la ascoltava e riconosceva in lei l’amore che lei mostrava di sentire nei confronti della terra che la stava nuovamente accogliendo.
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Agitu e la comunità
Prima di aprire La capra felice aveva fatto la barista per mettere da parte un po’ di soldi. Era stato un modo per conoscere molte persone e creare una bella e solida rete di amicizie. Ottenne undici ettari di terreno abbandonato e iniziò con quindici capre fino ad arrivare ad averne 180, oltre a un discreto numero di galline. Amava talmente i suoi animali da dormire in auto per essere pronta ad intervenire in caso di attacchi dell’orso. Nella sua azienda era sempre felice di accogliere i giovani trentini curiosi di imparare l’arte del casaro. Nemmeno le minacce e l’aggressione a sfondo razzista, subite nel 2018 da un vicino, le avevano fatto perdere il sorriso. Fu proprio in quel periodo che la conobbi durante una vacanza in camper.
Il suo impegno nei confronti degli immigrati
Sapeva quanto le era costato abbandonare la sua terra e per questo era sempre pronta a dare una mano agli immigrati africani. Si rivedeva in loro e voleva aiutarli ad integrarsi.
Il 29 dicembre 2020 proprio uno di questi immigrati al quale aveva offerto un lavoro la uccise prendendola a martellate. Non contento abusò del suo corpo mentre era ancora agonizzante. Si chiama Adams Suleimani ed è originario del Ghana. È stato condannato a vent’anni di carcere ma ricorrerà in appello per far valere le sue ragioni: Agitu era in ritardo col pagamento di alcune mensilità di salario. Ma sappiamo tutti che anno è stato il 2020.
Non ho voluto iniziare la serie di articoli sulle vittime della violenza di genere con Agitu Ideo Gudeta per il colore della sua pelle o di quella del suo assassino. Non mi interessano proprio. Nel 2016 in Italia le vittime di femminicidio sono state 116. Ma lei la conoscevo. Avevo incrociato il suo sorriso e non l’avevo mai più scordata. Qualunque sia il colore suo o quello del suo assassino è morta una donna il cui colore era la speranza. Ciao Agitu.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.