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Ai piedi delle Dolomiti Lucane sorge Campomaggiore Vecchio, il comune più piccolo della Basilicata che nel ‘700 è stata protagonista di una virtuosa operazione urbanistica che trasformò un paese contadino in una realtà all’avanguardia.
Un po’ di storia
Nel 1622, il territorio di Campomaggiore risultava libero da feudatari. Per tal motivo, Re Filippo IV decise di concederlo a Carlo Rendina, col titolo di Conte. Rendina fiutò il potenziale agricolo del territorio e decise di realizzare lì la sua utopia. Sogno di Rendina era quello di creare un luogo dove non esistesse povertà e dove ognuno potesse vivere dei proventi della propria terra. Una terra che potesse essere sempre ricca e feconda.
L’atto di fondazione del paese è datato 30 dicembre 1741 e fu sottoscritto dalla famiglia Rendina e dalle 17 famiglie abitanti nel territorio del feudo. Ad ogni abitante fu riconosciuto un lotto di venti palmi per la costruzione della casa con annesso terreno da coltivare.
Il successore di Carlo, il Conte Teodoro Rendina, che giunse alla guida del feudo alla fine del XVIII secolo, abbracciò a pieno il progetto originale, ma decise di riorganizzare e riordinare il crescente sviluppo del paese. Con l’aiuto dell’architetto Giovanni Patturelli, allievo di Vanvitelli, furono quindi realizzate abitazioni secondo criteri urbanistici innovativi, con case disposte a scacchiera, in modo che ogni abitante potesse usufruire di un piccolo appezzamento di terra e di legname sufficiente per poter far fronte ai mesi freddi. Il tutto regolato da un ordinamento che prevedeva, tra le altre cose, che per ogni albero abbattuto venissero piantati tre alberi da frutto.
Si diffuse così, in poco tempo, la coltivazione della vite e dell’ulivo e, nel giro di qualche decennio la popolazione passò da 80 a 1525 abitanti, dimostrando quanto l’idea di Rendina fosse realizzabile e vincente.
Purtroppo, però, il 10 febbraio 1885 la natura si ribellò: un’enorme frana andò ad abbattersi su Campomaggiore costringendo alla fuga la popolazione e trasformando il paese in un cumulo di macerie.
Cosa rimane oggi
Da circa due secoli il luogo risulta in stato di abbandono e la vegetazione selvaggia e infestante ha preso il sopravvento.
L’antico impianto urbanistico di impronta utopistica è ancora leggibile e sono ancora distinguibili, seppur in cattivo stato, alcuni edifici: il Palazzo, residenza dei Conti, la Chiesa di Maria SS del Carmelo, il Municipio, il Forno e il Frantoio comuni e la scacchiera di abitazioni contadine, sono ravvisabili ma in stato di rudere e privi di soffitti e coperture.
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Il Parco Giardino Archeologico
All’interno delle Rovine si è messo in atto un’operazione di tutela, finalizzato a far rivivere Campomaggiore vecchia, mettendo in sicurezza l’intero borgo e creando un Parco Giardino Archeologico che garantisca la manutenzione e la conservazione del sito affinché possa essere fruito turisticamente.
L’intento del progetto è anche recuperare l’antico Orto-giardino della famiglia Rendina, di cui ogni si conservano ancora una sequoia e un pino domestico.
La città dell’Utopia: lo spettacolo
Fonte foto: sagreinbasilicata.it
Ogni estate il borgo diventa una scenografia naturale per lo spettacolo La città dell’Utopia, una fiaba teatrale che racconta attraverso attori e danzatori i fatti storici accaduti a Campomaggiore, con l’intento di tenere in vita un luogo che altrimenti sarebbe una città fantasma e per ricordare a tutti che le utopie sono a volte possibili e gli ideali di comunità virtuosa e sostenibile sono perseguibili.
Classe ’84, laureata in lingue straniere e discipline dello spettacolo. Ama il cinema, le serie tv, il teatro, l’arte e la scrittura. Indossa spesso gli occhiali da sole “per avere più carisma e sintomatico mistero”.
Ha scritto due fumetti (“I Voccapierto’s – Le Origini” e “I Voccapierto’s – Back to the Vocca”) e ogni tanto insegna quel poco che ha imparato in giro. Il resto del tempo aspetta che suo figlio si addormenti per leggere un libro.