Fonte foto: Cookaround
La Tegamata: un nome non certo raffinato per un piatto da sapore ruvido, sapido che rappresenta la Maremma. ma anche il suo legame antico con il popolo ebraico.
Gli Ebrei a Pitigliano
Fin dal 1400 molti ebrei giunsero a Pitigliano dalla Spagna. Sfuggivano alla crudeltà di Torquemada e, nel piccolo borgo maremmano, trovarono rifugio e accoglienza. Nel succedersi dei secoli poi si aggiunsero i reduci dalle campagne dell’inquisizione dello Stato Pontificio.
Pitigliano (e la vicina Sorano) divennero la loro nuova casa e lì furono protetti dai signori dell’epoca, gli Orsini. Gli ebrei furono investiti dell’incarico di “feneratori“, cioè quello che oggi si indicherebbe con il termine di prestatore o usuraio. Era questo un compito ritenuto perfino infamante, ma gli ebrei furono capaci di farlo diventare un vero e proprio motivo di protezione da parte degli Orsini, che avevano instaurato un rapporto di favore con la comunità ebraica, ricevendone degli interessi vantaggiosi. Il movimento del prestito divenne fiorente a Pitigliano, così come l’attenzione dei governanti che cominciarono a impreziosire la città di opere edili di pregio.
Nel ‘500 con l’avvento dei Medici la comunità ebraica acquisì gli stessi vantaggi dei cittadini nativi. Erano abili commercianti e portarono la loro esperienza in modo significativo nell’economia del luogo. Artigiani, allevatori, coltivatori: erano ormai inseriti perfettamente nel tessuto sociale ed economico di Pitigliano: Costruirono case e, per completare il loro radicamento, anche una sinagoga.
Fu in quel momento che Pitigliano divenne la “Piccola Gerusalemme“.
Il borgo cresceva d’importanza. Gli ebrei crearono, dopo il 1800, addirittura un ufficio telegrafico, uno dei primi in Maremma, collegato direttamente con Livorno e Civitavecchia.
Nel 1900 gli ebrei cominciarono a trasferirsi, principalmente a Roma e Livorno, portando via con sé i beni preziosi e artistici che avevano salvato nella loro storia. Pitigliano rimase la sede per la sinagoga, per il ghetto, luogo abitativo di antica generazione.
La cucina
Ma a Pitigliano rimasero ben salde le influenze della cucina ebraica, una realtà arrivata fino ai giorni nostri. Piatti tipici di cui, forse ignoriamo la genesi.
Prendiamo in esame una delle preparazioni più conosciute nell’ambito del territorio maremmano vissuto insieme alla comunità ebraica: la tegamata.
“La tegamata è bòna fatta e mangiata“, così recita la tradizione popolare.
In effetti però è una pietanza che richiede una lunga preparazione. Logico che, alla fine, una volta portata in tavola, ci si auguri che venga onorata dalla consumazione di golosi commensali.
La tegamata prevede la marinatura della carne, quindi sarebbe ideale prepararla la sera prima per il giorno dopo.
Scegliete carne di manzo magra, tagliatela a cubetti non troppo piccoli. Immergeteli nella marinata di carota e cipolla a pezzi, ramerino e qualche chiodo di garofano e abbondante vino rosso.
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Lasciatela per quanto più tempo vi è possibile in questo liquido: una nottata sarebbe, come già detto, ottimale.
Al momento di andare in cottura, scolate la carne, ma non buttate via la marinatura!
Un bel tegame (da cui il nome della ricetta) irrorato di olio e saporito con sale e pepe. Fare rosolare bene la carne, girandola e rigirandola, in modo che nessuna parte sfugga alla cottura. Aggiungete la marinata tenuta da parte, filtrata e alzate il fuoco, in modo che il tutto prenda il bollore. Fate andare per qualche minuto e poi aggiungete dei pomodori pelati.
Fonte foto: Cookaround
Abbassate il fuoco, coprire il tegame con un coperchio e lasciare sobbollire per un’ora, un’ora e mezza. L’unica cosa che dovrete fare, in questo frattempo, è sorvegliare che la carne non si attacchi al fondo del tegame. Mentre sorvegliate, preparate le patate. Se è la stagione delle patatine novelle pulitele e usatele con la buccia. Se non è stagione usate pure le patate normali, pelate e tagliate a tocchetti. Cuocetele fino a quando saranno morbide.
Affettate molto pane, ché ne servirà in abbondanza e portate in tavola del buon vino, un Chianti o un rosso di Montalcino.
Buon appetito!