Italia e cibo è un binomio talmente forte e indissolubile da essere diventato quasi un cliché. La nostra penisola è costellata da tipicità gastronomiche in ogni comune di ogni regione, anche nel più remoto. Con la speranza di fare intraprendere ai nostri lettori un viaggio tra i sapori, oggi vi portiamo in Friuli Venezia Giulia a scoprire i cinque piatti tipici della cucina friulana.
La proposta gastronomica friulana è caratterizzata da innumerevoli contaminazioni culturali: crocevia di lingue e culture, il Friuli Venezia Giulia ha da sempre accolto nella sua cucina sapori e profumi tipici del nord Italia mescolati a quelli delle confinanti Austria e Slovenia. Non solo, ancora oggi risiedono ben radicate le tradizioni derivate dal periodo di dominazione veneziana che, per esempio, aveva introdotto il baccalà.
Una delle sue caratteristiche principali è quella di essere povera ma allo stesso tempo molto nutriente: minestre e zuppe, verdure, insaccati, formaggi, mais e derivati.
Cinque piatti tipici friulani dall’antipasto al dolce
Come abbiamo visto, il Friuli è una regione di confine tra più nazioni e questa caratteristica ha fatto si che tradizioni e culture si siano mescolate nei secoli creando una commistione multiculturale che oggi è diventata essa stessa la cultura friulana.
Uno dei “prestiti” sloveni riguardanti il cibo è l’osmiza. Non si tratta di un piatto ma di una tipologia di locale tipico dell’altopiano del Carso, una via di mezzo tra un’osteria e una bottega dove si mangia ciò che i contadini producono. Il nome friulano è diventato “frasca“, e sono molto diffuse in tutta la provincia di Trieste.
In una frasca o in un ristorante, ecco a voi i cinque piatti da non perdervi in Friuli Venezia Giulia.
Frico, per gli amanti del formaggio
Fonte foto: wips.plug.it/
Forse il frico non ha bisogno di presentazioni, la sua fama lo precede. Per chi non lo conoscesse, trattasi di un tortino di formaggio che viene consumato come piatto unico o antipasto. I natali di questa pietanza vengono stabiliti nella Carnia, ma non esiste una ricetta codificata e pertanto è possibile trovarlo in molte varianti in base alla zona della regione in cui si mangia.
È un piatto umile e povero di tradizione contadina e per questo nel frico le famiglie sono solite mettere “quel che la casa offre”. Alla base però non può mancare il formaggio in varie stagionature (la tradizione vuole il Montasio), grattugiato o a tocchetti, per una base saporita e sostanziosa. C’è chi poi aggiunge patate, cipolle, mele, rapa, uova o altro a piacere.
Il risultato è un tortino, una sorta di frittata, dove il formaggio sprigiona tutto il suo sapore. Va consumato rigorosamente caldo e magari accompagnato da un po’ di polenta.
Interessante andare a scoprire cosa dice la storia di questa pietanza. Il nome frico deriva con molta probabilità da fricandeau o fricandò che in dialetto indica tutte quelle pietanze composte da ingredienti sminuzzati.
Sulla sua origine invece esistono due storie. La prima è una leggenda legata a Sant’Ermacora, patrono di Udine. Salendo sulle Alpi Carniche, chiese ospitalità a dei pastori che gli offrirono polenta e formaggio con una ciotola di siero per dissetarsi. Il santo suggerì ai pastori di unire siero e formaggio sul fuoco e così nacque il frico.
La seconda teoria, più istituzionale, riguarda invece la ricetta trascritta dal Maestro Martino ne De Arte Coquinaria: qui il frico è chiamato caso in patellecte, formaggio nel padellino.
Cjalsons, la pasta ripiena
Fonte foto: calendariodelciboitaliano.it
I Cjarsons sono dei ravioli tipici della Carnia, nord del Friuli, farciti con formaggio, erbette spontanee e spezie. Ne esistono più di trenta varietà in tutta la regione che variano dalla forma del raviolo agli ingredienti del ripieno. La caratteristica costante è l’assenza totale di carne.
La pasta del raviolo è a base di acqua e farina ma anticamente si facevano con le patate, quasi come uno gnocco. Una volta cotti, vengono conditi con burro fuso e ricotta affumicata grattugiata e serviti.
Stoccafisso alla cappuccina, la nobilitazione del merluzzo
Fonte foto: Giallo Zafferano
Ed ecco il merluzzo di derivazione Veneziana. Questo pesce era diventato un vero e proprio business durante la dominazione della Serenissima. Piero Querini, nobile veneziano, aveva decantato le lodi di questo pesce come “cibo di magro” al Concilio di Trento. Questo, unito alla praticità di conservazione e di conseguenza alla facilità di commercio, innalzò lo stoccafisso a materia prima di largo uso.
Lo stoccafisso alla cappuccina deve la sua origine ai frati che vi aggiunsero cannella, noce moscata, alici, cipolla, uvetta, pinoli e talvolta cioccolato. Il pesce viene infarinato e rosolato e successivamente coperto con brodo o latte fino alla sua completa riduzione. Si passa in forno per una croccante doratura e si serve accompagnato da un po’ di polenta. La doppia cottura, in padella e poi in forno, garantiscono cremosità e allo stesso tempo una deliziosa crosticina dorata e croccante.
Jota, una zuppa per l’inverno
Fonte foto: Ricetta Gourmet
La Jota triestina è una minestra di patate, cavoli e fagioli: l’emblema della cucina povera, contadina. Si tratta della una preparazione antichissima della quale i triestini vanno molto orgogliosi.
Le prime testimonianze di questo piatto risalgono al XV secolo e il suo nome deriva dal latino jutta, brodaglia, termine che a sua volta avrebbe una radice celtica. Si narra che l’ultima modifica alla ricetta sia stata fatta sul finire del 1400, con l’introduzione delle patate nella zuppa portate dalla scoperta dell’America.
Ai giorni nostri, le famiglie giuliane consumano la Jota durante le festività natalizie o più generalmente in inverno, come piatto corroborante. Oltre alla parte vegetale, la ricetta prevede l’uso di salsicce fresche, costine di maiale e strutto.
Colaz, le ciambelline alla cannella
Per finire in dolcezza ecco i Colaz, biscotti a forma di ciambellina composti da uova, farina, zucchero, strutto, cannella e chiodi di garofano. Molto diffusi soprattutto a Udine e Pordenone, si trovano quasi sempre decorati con zuccherini colorati e questa decorazione deriva dall’usanza di preparare questi biscotti per la cresima cristiana. Le ciambelline venivano legate tra loro con nastri colorati e appesi alle vesti dei cresimandi.
Si conclude qui il nostro viaggio tra i sapori friulani: vi abbiamo fatto venire appetito?
Bergamasca, ma nomade per il nord d’Italia, classe 1989 e di professione navigo nel mondo del marketing e della comunicazione.
Mi contraddistinguo per la testa dura e la curiosità che mi portano ad interessarmi sempre a ciò che succede nel mondo. Amo l’arte in maniera viscerale, leggo sempre troppo poco per quanto vorrei, cucinare e camminare. Hermes mi da la possibilità di raccontarvi con le mie parole questi mondi e di portarvi a spasso con me.