La cucina maremmana: povera, ma saporita -Acquacotta - Un pezzo della mia Maremma

La cucina maremmana: povera, ma saporita

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La cucina maremmana è «povera», ma povera sul serio, perché nasce dalla miseria.

Una terra difficile che ricorda la sua sopravvivenza alla malaria, anzi la «mal’aria» e non solo. Terra selvatica di vipere e cinghiali ha lottato per secoli con la sua natura aspra.

Lo scrittore Luciano Bianciardi, figlio di Maremma, scrisse nel suo libro «La battaglia soda», descrivendo il comune mangiare dei lavoranti della campagna :

«Quasi sempre era panzanella. Pane stantio inzuppato nell’acqua torba, con una goccia d’olio, non più di una goccia, aceto e sale. Null’altro. La domenica, se andava bene, c’era l’acquacotta.»

I sapori della cucina maremmana sono rimasti «maschi», un’unione di sapori legati agli ingredienti regalati dalla natura e interpretati, di paese in paese, di casa in casa, in tanti modi diversi, ma sempre sapienti.

Ancora oggi che di malaria non si parla più, che la Maremma è diventata una terra di grande valore turistico, in Maremma si mangia all’antica. Le radici si riscoprono, rendendole protagoniste di fiere e sagre.

Sono state le nonne e le mamme a trasmettere la sapienza della cucina maremmana alle figlie, la capacità di scegliere piante e carni da abbinare, il modo di cuocere quegli ingredienti poco costosi, rimembranza della povertà e della fame di un tempo.

I pasti della giornata

La colazione maremmana era «rustica»: caffè d’orzo e pane, spesso duro. E siccome si faceva colazione solo dopo aver accudito gli animali e lavorato la terra, quindi a un’ora avanzata. Si mangiava carne e si zuppava il pane nel suo sugo di cottura. Si mangiava la polenta dolce, fatta con la farina di castagne, dove si poteva, o la frittata con le zucchine. La colazione divideva a metà la mattinata di lavoro.

Il pranzo prevedeva una sosta breve, quindi si mangiavano, di preferenza, i salumi e i formaggi fatti in casa, A metà pomeriggio c’era la merenda. La giornata era già quasi finita e ci si poteva permettere la sosta per mangiare l’acquacotta o la panzanella, altro piatto, quest’ultimo, che si trova con facilità nella cucina estiva di tutta la Toscana, arricchito nel tempo .

La cucina maremmana: povera, ma saporita -Panzanella - Scambia ricette

Fonte foto: Scambia Ricette

La sera si consumava il pasto caldo della giornata, spesso zuppe di verdure e legumi o, ancora, polenta.

Un’altra particolarità della cucina maremmana è quella di non fissare le dosi degli ingredienti: si procede per esperienza. L’assaggiare è fondamentale, il profumo stabilisce il tempo di cottura, l’occhio abituato a scegliere il meglio da mettere in pentola, le mani «tastano» per capire morbidezza e durezza, il suono del cibo che bolle è indice di casa, di benessere. Tutti i cinque sensi sono coinvolti in una cucina corporale.

Così ecco una ricetta dell’acquacotta. É «una», perché in Maremma ce ne sono cento di varianti, a seconda della stagione, del luogo , della tradizione di famiglia.

«Chi lavorava in campagna si portava dietro un pignattino e a mezzogiorno lo riempiva ai ruscelli mettendo a cuocere quello che dava la stagione. Un capo d’aglio, un cipollotto, qualche pomodoro, un po’ di sale e tanto pane a fette.»

Citava la scrittrice Mara Cini.

“Una” acquacotta

Si prendono cipolla, sedano e carota e si tagliano sottili; si aggiunge qualche foglia di basilico e si fanno rosolare nell’olio, ma che sia buono! Si aggiunge il pomodoro pelato e una presa di peperoncino. Poi si va con l’acqua: un bicchiere a persona. Si lascia bollire a fuoco lento e a lungo. Se il liquido evapora si aggiunge ancora poca acqua.

Quando la densità è quella giusta per una zuppa (ci vorrà una mezz’ora) si mette poco sale, si assaggia e poi si rompe dentro la pentola un uovo a persona, facendo attenzione che il tuorlo rimanga intero. Si aspetta che le uova siano giustamente rassodate e poi si versa nel piatto, sul fondo del quale si saranno già posizionate poche fette di pane raffermo (non tostato, raffermo!). L’uovo si depone al centro del piatto, sulle fette di pane e circondato dalla minestra. In ultimo una generosa spolverata di «cacio», il pecorino maremmano.

Poi c’è chi aggiunge i funghi porcini o le zucchine, le bietole o gli asparagi, le patate o gli spinaci. Insomma l’acquacotta è lo specchio dei mille volti della Maremma e del suo territorio, un piatto della tradizione che continua a figurare, con l’orgoglio dei semplici, nei menù della nostra vita moderna.


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