Lakshmi Bai fu una figura importante e una leader della rivolta indiana contro l’Impero Britannico nel 1857. Lei fu tutto questo in un’epoca e in un Paese, dominato dalle più ataviche leggi della casta, per le quali le donne nemmeno esistevano. È conosciuta anche come Jhansi Ki Rani ovvero Regina di Jhansi.
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Infanzia
Nacque a Varanasi (all’epoca si chiamava Benares) il 19 novembre 1828, in una famiglia nobile. Il padre era un bramino e si prese cura di lei dopo la morte della moglie quando la piccola Manu (questo era il suo soprannome) aveva solo quattro anni. Successivamente la bambina seguì il padre alla corte di Peshwa a Bithur dove egli svolgeva il suo servizio. Per la sua vivacità entrò nelle grazie del Rajà che la soprannominò Chhabili, (la spensierata). Grazie alla posizione del padre potè crescere a corte con molta più libertà rispetto alle altre donne e imparare molte più cose. Studiò infatti arte militare, era un’ottima cavallerizza, sapeva tirare con l’arco e combattere, al punto da creare una sorta di guardia personale, composta dalle sue amiche più intime della corte.
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Giovinezza
Manu fu data in sposa, ad appena quindici anni, a Gangadhar Newalkar Rao, Raja di Jhansi, un piccolo Stato nell’India del Nord. Anche se sulle carte era uno stato indipendente si trattava di un protettorato della Compagnia Britannica delle Indie Orientali. Questo organismo era incaricato dalla Corona Britannica di governare in suo nome il subcontinente indiano. Da quel momento il suo nome ufficiale fu Rani (Regina) Lakshmi Bai. Ebbe un solo figlio nel 1851 che, purtroppo, morì a soli quattro mesi. I sovrani di Jhansi decisero quindi, secondo una antica tradizione indiana, di adottare quello che sarebbe divenuto il loro successore: Anand Rao.
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I dolori della Regina
Il Rajà non seppe mai elaborare il lutto per la perdita del figlioletto e si spense il 21 novembre del 1853 di crepacuore.
Rani Lakshmi Bai dovette sopportare la morte del marito, dopo quella del figlioletto, e non solo. In quell’anno era a rischio anche l’esistenza del suo regno. Il Governatore generale dell’India Lord Dalhouise, infatti, escluse che il figlio adottivo potesse salire al trono per la mancanza di consanguineità con la regina. Per giustificare questo atto fece riferimento alla Dottrina della Decadenza o di Lapse.
Jhansi veniva così annesso al governo diretto inglese col nome di Raj Britannico. La regina richiese di poter adottare un suo successore come previsto dalla lagge indiana ma le fu negato e nel 1854 le venne assegnata una pensione annua di 60.000 rupie a patto che si ritirasse a vivere nel forte e abbandonasse il palazzo. La regina accettò ma solo in attesa di trovare il modo di riprendersi la sua Jhansi.
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Lo scoppio della rivolta
Se a Jhansi si stava perpetrando questa ingiustizia ai danni della Regina anche nel resto dell’India le cose non erano tranquille. Le caste aristocratiche non erano contente di vedere molti dei loro guadagni sottratti dalla Compagnia Britannica delle Indie. Dal canto loro le caste più povere erano esasperate dalla rigida tassazione e dai soprusi dei coloni europei. Infine anche tra i soldati agli ordini degli inglesi serpeggiava il malcontento. Quando, nel 1857, si sparse la voce che per ingrassare le cartucce in dotazione ai soldati indiani, i sepoy, sarebbero stati usati o il grasso di maiale o il sego di bovino i soldati musulmani e quelli indù insorsero. Ad essi si unirono sia le caste più ricche che quelle più povere ed anche alcuni stati indiani minori. Vennero uccisi gli ufficiali inglesi e i rivoltosi si diressero verso Delhi.
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Jhansai
A Jhansi i sepoy riconquistarono il regno e lo riconsegnarono alla regina che riorganizzò amministrazione ed esercito, e promosse l’arte e la letteratura avendo una cura particolare per la biblioteca di Stato. Lakshmi Bai era molto religiosa, seguiva diligentemente i precetti religiosi hindu, ma quando amministrava il suo regno era estremamente pragmatica.
Innanzi tutto lei scelse di non seguire le regole del purdah (per cui una donna doveva evitare di mostrarsi in pubblico). Poi lei decise di soccorrere tutti i poveri qualsiasi fosse la loro casta di appartenenza.
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La Regina
Lakshmi Bai si alzava all’alba ogni giorno, meditava, si allenava e poi si dedicava al regno.
Si sentiva una guerriera e amava vestirsi in modo particolare: sul capo un turbante bianco o un cappello rosso, dei pantaloni dello stesso colore e, in cintura, due pistole d’argento e un pugnale. Durante la rivolta i ribelli avevano ucciso gli ufficiali inglesi e di essere la mandante fu sospettata lei dai Britannici. Lakshmi Bai tentò in ogni modo di convincere il governatore inglese della sua estraneità ai fatti e di trovare un accordo ma non ci riuscì. Ma non sopportava l’idea di sottomettersi e si ribellò affermando la propria indipendenza.
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La Regina guerriera
Data la situazione Lakshmi Bai riorganizza la difesa dello stato impegnandosi in prima persona del potenziamento militare addestrando le donne di Jhansi.
Era il marzo 1858 quando la città venne stretta d’assedio dagli inglesi, guidati da Sir Hugh Rose. Il 4 aprile le mura vennero espugnate e la popolazione fu sterminata.
La Regina ed il figlio fuggirono nella cittadina di Kalpi per unirsi ad altri leader della rivolta. Anche Kalpi venne presa a maggio ma questo non fermò Rani Lakshmi Bai che con le forze che le erano rimaste occupò la fortezza di Gwalior.
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La battaglia finale
Il 17 giugno ci fu la resa dei conti tra i capi ribelli e i britannici. La regina, come testimoniato dal quotidiano inglese Times fu un’abile stratega oltre che una valida guerriera:
“I piani di battaglia furono attuati principalmente sotto la direzione e la supervisione personale della Regina che, vestita di abiti militari e assistita da una scorta scelta e ben armata, era costantemente in sella, onnipresente e instancabile”.
Rani Lakshmi Bai venne uccisa mentre combatteva a cavallo. Il termine della rivolta indiana fu sancito dalla conquista di Gwalior da parte degli inglesi.
Rani Lakshmi Bai rimane il simbolo della lotta al potere coloniale e del movimento per l’autodeterminazione dell’India e per questo, durante le battaglie che porteranno all’indipendenza dell’India nel 1947, il reggimento femminile dell’ Indian National Army le sarà intitolato. Ancora oggi, a pieno titolo, viene ricordata come un’eroina nazionale in libri, canzoni e serie televisive.
Abbiamo così conosciuto un’altra donna nata nel 1800, come Rosalia Montmasson o Alfonsina Strada, che non ha avuto paura di decidere della sua vita e di mettersi in gioco a dispetto del ruolo che la società dell’epoca riservava alle donne.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.