Le mondine erano lavoratrici stagionali che, tra la fine del XIX e la metà del XX secolo, da varie regioni d’Italia, raggiungevano le zone della pianura Padana in cui si praticava la risicoltura. In particolare erano interessate le province di Pavia, Novara e Vercelli.
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Lavoratrici in trasferta
Le mondine arrivavano alle risaie in treno e venivano accolte nelle cascine del territorio. Per loro venivano allestiti dormitori, che potevano contenere anche sessanta persone, in grandi granai svuotati. I letti erano delle semplici assi di legno ricoperte da paglia. Nell’assegnazione dei posti i padroni tendevano a separare tra loro quelle che si conoscevano per ridurre la possibilità che si accordassero per protestare. La giornata iniziava alle 4.30: venivano svegliate dal caposquadra e si dovevano lavare la faccia con l’acqua dello stesso fossato dove lavavano anche abiti e stoviglie.
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Il lavoro delle mondine
Dalla fine di aprile agli inizi di giugno le risaie venivano allagate per proteggere le piantine dall’escursione termica tra giorno e notte.
Le mondine lavoravano dunque con le gambe immerse nell’acqua fino alle ginocchia e la schiena curva per trapiantare le piantine e poi per mondarle ovvero togliere le piante infestanti. Era un lavoro molto faticoso svolto, appunto, in prevalenza da donne di famiglie molto povere che trascorrevano anche 12 ore al giorno con le gambe nell’acqua tra serpenti, topi, sanguisughe e insetti.
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La modernizzazione dell’agricoltura
Nelle risaie del novarese si contavano circa 25.000 mondine, dai 13 ai 70 anni, in piena stagione ma, come riportato da Mario Melloni ne I corsivi di Fortebraccio, le cose erano destinate a cambiare. Alla fine degli anni sessanta, in seguito al processo di modernizzazione in atto nel settore agricolo, si erano ridotte a circa duemila e, per lo più, meridionali. Un mese di lavoro era retribuito dalle cento alle centoventimila lire. Non esisteva alcuna tutela sindacale e dalle risaie prese il via uno dei primi movimenti femminili che si trasformò in una battaglia sindacale che seppe tener testa persino al regime fascista.
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Le mondine e le rivendicazioni
Le condizioni di lavoro erano estremamente disagevoli. Queste donne indossavano calze di cotone e si coprivano il viso con un fazzoletto cercando di proteggersi dagli insetti. Era diffusa tra le mondine la “febbre del riso” causata da un parassita che infestava, appunto, le risaie. Svolgevano nei campi le stesse ore ore di lavoro degli uomini ma la loro paga era ben inferiore. Da questo malcontento derivano le prime proteste agli inizi del XX secolo che furono ben raccontate da una canzone:
“Se otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorare
e sentirete la differenza
di lavorar e di comandar.”
Tra il 1906 e il 1909 diversi comuni in provincia di Novara accolsero le loro richieste. È triste pensare che oggi il lavoro delle mondine viene affidato alle macchine e ai diserbanti.
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Le mondine nelle canzoni
La storia di queste lavoratrici è entrata nell’immaginario collettivo ispirando canti popolari, scrittori (La fatica delle donne. Storie di mondine di M. Minardi) e registi cinematografici (Riso amaro, La risaia).
I canti popolari sono sicuramente i più conosciuti e ricordiamo:
«Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto
che ci ha sempre maltrattato
fino all’ultimo momen’
Saluteremo il signor padrone
con la so’ risera neta
pochi soldi in la cassetta
e i debit da pagar…»
canto che fu anche inciso da Eugenio Finardi nel 1975.
Dal repertorio di Giovanna Daffini ricordiamo inoltre la versione delle mondine di Bella Ciao. Si tratta di un testo che esprime molto bene la condizione lavorativa di queste donne.
“Alla mattina appena alzate
O bella ciau, bella ciau, bella ciau, ciau ciau
Alla mattina appena alzate
in risaia ci tocca andar.
E fra gli insetti e le zanzare
O bella ciau…
E fra gli insetti e le zanzare
un dur lavoro ci tocca far.
Il capo in piedi col suo bastone
O bella ciau…
Il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar.
O mamma mia, o che tormento!
O bella ciau…
O mamma mia, o che tormento
io ti invoco ogni doman.
Ma verrà un giorno che tutte quante
O bella ciau…
Ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà.”
Altre canzoni legate alle mondine sono Sciur padrun da li beli braghi bianchi, La Lega e Son la mondina.
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Oggi in Italia non esiste più la figura della mondina e a malapena qualcuno ricorda i loro canti eppure queste donne ebbero il coraggio di battersi per ottenere migliori condizioni di lavoro. Sono state battaglie grazie alle quali i diritti garantiti a lavoratori e lavoratrici sono andati migliorando anche in altri settori. I musei dedicati alle lavoratrici delle risaie, come quello della Tenuta Colombara nel vercellese, permettono di mantenere viva la memoria storica su quella che è stata la loro vita.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.