Nata il 3 giugno 1921 a Torino, Carla Voltolina, deve essere definita una donna assolutamente moderna, autonoma e indipendente. Una donna che volle garantirsi l’autonomia di pensiero con la propria indipendenza economica. Una donna che non accettò di vivere all’ombra di nessuno e mantenne sempre saldo il timone della propria esistenza.
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Una famiglia complicata
Nonostante la madre provenisse da una famiglia di idee socialiste e il padre da una borghese, il clima in casa era comunque sereno. Anche quando il padre divenne uno dei fondatori del Fascio torinese non mutarono i suoi rapporti con le figlie alle quali trasmise, se non le idee politiche, l’amore per lo sport. Nel 1938 Carla abbandonò gli studi di ragioneria. Forse era troppo anticonformista per adattarsi al clima della scuola fascista. Specialmente dopo l’emanazione delle leggi razziali.
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Primi passi nella politica
La situazione politica italiana era tale che Voltolina non poteva non farsi domande alle quali rispondere era sempre più difficile. Così come mantenere la sintonia col padre del quale, però, rispettava l’onestà, la buona fede e lo slancio ideale. Ma le loro idee divergevano troppo e lei decise, quindi, di conquistare la propria autonomia entrando nel mondo del lavoro. Iniziò, inoltre, a frequentare ambienti antifascisti. Con l’entrata in guerra dell’Italia il padre, partito subito per il fronte, venne catturato e tenuto prigioniero in Texas fino alla fine del conflitto. Questo rese Carla ancora più convinta della propria scelta politica e la confermò nel suo impegno.
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La guerra e la Resistenza
A Roma, entrò nel Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) e vide la nascita della Federazione Giovanile Socialista. Partecipò attivamente alla Resistenza ma non volendo mai girare armata. Rifiutava anche di essere definita “staffetta” che le sembrava un termine volutamente riduttivo del ruolo femminile. Riteneva più adatto “ufficiale di collegamento” maggiormente indicativo dei rischi e delle responsabilità propri del ruolo. Dopo essere stata catturata dai tedeschi durante un rastrellamento riuscì a fuggire e si trasferì a Milano dove collaborò con la redazione di “La Rivoluzione Socialista” e con i Gruppi di Difesa della Donna.
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L’incontro della vita
Nel novembre del 1944 il cognato, Alfredo Fantino (vice comandante delle brigate Matteotti in Piemonte), le chiese di fare da guida ad un dirigente romano del PSIUP. Era Sandro Pertini. Lei aveva 23 anni e lui 48. Sandro rimase conquistato dall’entusiasmo e dal coraggio che lei dimostrava. In particolare quando, seppur ricercata dalla polizia rifiutò di scappare in Svizzera. A nulla valsero le perplessità di lui per la differenza di età né il parere contrario della famiglia di lei. Carla e Sandro si sposarono civilmente al Comune di Roma l’8 giugno 1946. Fu un matrimonio che durò per tutta la vita cementato dall’amore, dalla passione politica e dal reciproco rispetto.
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La vita insieme tra privato e pubblico
Anche la vita di coppia di Carla Voltolina e Sandro Pertini fu estremamente moderna per i tempi. Entrambi erano consapevoli delle differenze che contraddistinguevano le loro personalità e scelsero di concedersi gli spazi di autonomia necessari. A cominciare dalle vacanze che lei trascorreva al mare e lui in montagna. Carla non volle un ruolo politico e, ancora una volta, si assicurò attraverso il lavoro la propria autonomia economica e di pensiero. Si dedicò al giornalismo collaborando con l’”Avanti!”, il “Lavoro Nuovo” e “Noi Donne”. Nei suoi articoli spaziava da attualità politica a inchieste su questioni sociali, fino ad articoli su temi culturali.
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Collaborazioni istituzionali
Carla Voltolina lavorò con la Senatrice Lina Merlin nelle battaglie per la chiusura dei bordelli e per la cancellazione della sigla “N.N.” dai certificati dei figli nati fuori dal matrimonio. Nel suo libro “Lettere dalle case chiuse” (per il quale usò il cognome della madre: Barberis) denunciò le condizioni di miseria e sfruttamento delle prostitute.
Nei primi anni ’60 del secolo scorso era giornalista parlamentare presso l’Ufficio Stampa della Camera. Quando nel ’68 Pertini ne fu nominato Presidente lasciò immediatamente l’incarico per evitare qualsiasi possibile conflitto di interessi. Tornò all’università (le superiori le aveva finite alle serali ed aveva intrapreso e poi abbandonato gli studi in Economia) e si laureò in Scienze Politiche con specializzazione in Psicologia usando esclusivamente il suo cognome per non avere favoritismi.
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La Presidenza della Repubblica
Carla non approvava la candidatura del marito perché la situazione politica era tale da rendere quel ruolo molto impegnativo. Sandro non era precisamente un giovanotto e la loro vita privata poteva uscirne stravolta, ma rispettò la sua scelta. La sua riservatezza durante il settennato fu, a volte mal giudicata. Si arrivò a parlare di una ribellione irrispettosa delle istituzioni. Semplicemente lei riteneva che il ruolo di “first lady” fosse istituzionalmente infondato in una Repubblica Parlamentare. Inoltre voleva dare il suo piccolo contributo ad un nuovo modo di concepire i rapporti tra uomo e donna e tra donna e potere. Si dedicò quindi a fare la psicologa volontaria a Firenze aspettando il suo Sandro, nei fine settimana, nella mansarda che aveva arredato per loro vicino a Piazza di Trevi.
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Di nuovo loro due
Finito l’incarico alla Presidenza della Repubblica ripresero la loro normale vita di coppia. Non fu facile assistere all’involuzione della situazione politica di quegli anni e per lei, in particolare, non fu semplice vedere il marito che si indeboliva sempre di più. Cercò di proteggerlo da tutti gli occhi curiosi fino alla fine e, dopo la sua morte il 24 febbraio 1990, promosse la Fondazione a lui intitolata per conservarne la memoria contro ogni banalizzazione e strumentalizzazione mediatica.
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Forte fino alla fine
È il 24 novembre 2005, Carla sa di essere molto ammalata ma vuole portare al Museo dell’Automobile di Torino la sua Fiat 500 rossa con la quale aveva portato in giro per Roma il suo Presidente della Repubblica. È un viaggio faticoso e nostalgico che le permette, però, di salutare i luoghi della sua giovinezza. Tornata a Roma morirà il 6 dicembre. Le sue ceneri riposano, vicino al marito, nel piccolo cimitero di Stella San Giovanni (SV). Una lapide recita:
“Qui giacciono Carla e Sandro che tanto si amarono e insieme combatterono per la libertà e la giustizia sociale.”
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Credo sia giusto conoscere e trasmettere la storia di persone così.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.