M(arcus) Venerius coloniae
lib(ertus) Secundio, aedituus
Veneris, Augustalis et min(ister)
eorum. Hic solus ludos Graecos
et Latinos quadriduo dedit.
Marcus Venerius Secundio, liberto della colonia, custode del tempio di Venere, Augustale e loro ministro. Egli, da solo, organizzava spettacoli di quattro giorni in greco e latino.
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
Porta Sarno
La necropoli di Porta Sarno è situata nella Regio II, la zona più ad est del Parco Archeologico di Pompei, al di fuori delle mura. Un’area purtroppo non visitabile, trovandosi al di là dei binari della Circumvesuviana – ma la Direzione svela di star lavorando ad uno studio di fattibilità per includere la necropoli nel percorso di visita.
È un sito, quello partenopeo, che può essere definito un costante “cantiere aperto“: ad oggi, circa un terzo della superficie dell’antica città deve ancora essere scavato e ogni piccolo movimento riporta alla luce reperti unici e inestimabili conservati nei secoli da una delle più grandi tragedie del passato.
La storia di Marcus Venerius Secundio ha inconsapevolmente inizio nel 1998/1999, quando, durante uno scavo d’emergenza, riaffiorarono alcune tombe sannitiche e due recinti funerari romani; i quali, tuttavia, continuarono a riposare intoccati per altri vent’anni.
Fu nell’estate 2018 che ebbe inizio la prima campagna del progetto di studio e di indagine scientifica protagonista della convenzione con il Colegio de Doctores y Licenciados de Valencia, la Universidad Europea de Valencia e l’Institut Valencià de Restauració I Conservació, sotto la direzione dei docenti Rosa Albiach Descals e Llorenç Alapont, finalizzata al restauro dei monumenti funerari e alla documentazione fotogrammetrica e planimetrica della necropoli.
Un progetto che ha visto il suo apice esattamente tre anni dopo, ad Agosto 2021, quando l’apertura del sepolcro, in uno dei due recinti funerari, ha fatto emergere uno scheletro integro in perfetto stato di conservazione.
Marcus Venerius Secundio
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
Una struttura sepolcrale risalente agli ultimi decenni della vita di Pompei. Un recinto in muratura con una tomba in pietra di 1,6×2,4 metri, sulla quale si intravede ciò che rimane di un antico affresco con sfondo blu e rigogliose piante verdi.
Come si legge sulla lastra marmorea affissa nella parte alta del fronte del sepolcro, il suo proprietario fu un liberto della colonia, ossia uno “schiavo pubblico” con ruolo di custode del Tempio di Venere, e che fu poi liberato dalla sua condizione di asservimento. E, soprattutto, che riuscì a raggiungere un alto status sociale ed economico, tanto da divenire persino uno dei ministri degli Augustali, il collegio sacerdotale dedito al culto dell’Imperatore. Uno status di cui è testimone la stessa prestigiosità della sua tomba.
E il suo nome non è nuovo ai ricercatori: “Marcus Venerius Secundio” appare anche nell’archivio di tavolette cerate del banchiere pompeiano Cecilio Giocondo, proprietario della domus omonima situata in via Vesuvio.
Dalle prime analisi è già possibile constatare che Marcus ebbe una vita piuttosto lunga, la cui fine sopraggiunse solamente dopo i sessant’anni, un ottimo traguardo per l’epoca; e, visto l’incredibile stato di conservazione del corpo, le analisi permetteranno con molta probabilità di avvicinarsi con grande precisione all’età e alle cause effettive del decesso. Ma se è vero che ciascuna delle scoperte a Pompei è unica e meravigliosa, questa lo è anche per una serie di motivazioni storiche che dovranno ora essere approfondite e che rendono il ritrovamento ancor più rilevante. Ma quali?
Ludi greci
“Egli, da solo, organizzava spettacoli di quattro giorni in greco e latino“: una frase che ha stupito tutti gli esperti. All’epoca, il greco era un po’ come la lingua inglese di oggi, un lingua comune, parlata da molti, ma non ancora alla portata di tutti e spesso vista come segno di cultura.
“È la prima testimonianza certa di esibizioni a Pompei in lingua ellenica, ipotizzate in passato sulla base di indicatori indiretti“, commenta l’attuale Direttore Gabriel Zuchtriegel, “Abbiamo qui un’altra tessera di un grande mosaico, ovvero la Pompei multietnica della prima età imperiale, dove accanto al latino è attestato il greco, all’epoca la lingua franca del Mediterraneo orientale. Che si organizzassero anche spettacoli in greco è prova del clima culturale vivace e aperto che caratterizzava l’antica Pompei”. I precedenti ritrovamenti, per le strade della città, di graffiti in lingua greca confermano difatti la sua diffusione e il profondo interesse che gli abitanti avevano per le tragedie greche e i suoi autori, come Eschilo, ed era inoltre insegnata nelle scuole.
Inumazione
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
Lo stesso rito funebre risulta inusuale per l’epoca. A Pompei si usava procedere con l’incinerizione dei cadaveri, ad eccezione dei bambini che morivano prima della dentizione, e l’inumazione era una tecnica solitamente utilizzata in Grecia, ma che entrò in uso comune a Roma solamente dal II secolo d.C. Secondo Massimo Osanna, precedente direttore del Parco Archeologico di Pompei, Marcus Venerius Secundio avrebbe dunque potuto avere origini straniere, giunto forse da un luogo in cui si praticava l’inumazione, oppure non si era mai sentito davvero parte della società romana e volle per questo motivo optare per una sepoltura diversa dalle loro tradizioni.
Semi-mummificazione
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
La rarità del ritrovamento sta soprattutto nelle ottime condizioni in cui versa lo scheletro, sul quale si possono ancora vedere i capelli e parte di un orecchio, quasi il corpo fosse stato mummificato. Ma a cosa è dovuto? Fu una scelta intenzionale oppure risultato di una conservazione naturale da attribuire alla chiusura ermetica del sepolcro stesso?
Stando alle parole dell’archeologo e professore dell’Università di Valencia Llorenç Alapont, “È chiaro che dietro a tutte le stranezze di questa particolarissima sepoltura deve esserci un motivo. […] Questa camera sepolcrale è particolarissima, è stata sigillata con estrema accuratezza, proprio come se l’intento fosse quello di non fare entrare neppure un filo di aria. Sullo scheletro sono stati ritrovati i resti di una sostanza che potrebbe essere asbesto, un tessuto particolare che si usava proprio per preservare i corpi o una parte di essi dalla decomposizione“.
Nuove informazioni che potrebbero rovesciare le attuali conoscenze funerarie dell’epoca. “Fino ad oggi c’era l’idea che nel mondo romano le regole dei riti funerari fossero molto rigide e che tutti le dovessero seguire, pena l’ira degli dei”, continua a spiegare Alapont, “Se però Secundio ha potuto scegliere una sepoltura così particolare questo potrebbe significare, al contrario di quanto abbiamo sempre pensato, che c’era una certa libertà. È straordinario: le cose che stiamo apprendendo possono rivoluzionare almeno in parte le nostre certezze sulle pratiche e i riti funerari romani”.
Sta di fatto che tutto questo permetterà di svolgere analisi che solitamente non si possono effettuare con la stessa precisione su normali resti scheletrici, come affermato dalla funzionaria antropologa Valeria Amoretti, responsabile del Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco Archeologico di Pompei, nel corso della presentazione dei reperti provenienti dalla tomba.
Due urne
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
Le scoperte non terminano però qui. All’interno dello stesso recinto, sul retro della sepoltura principale, sono state rinvenute anche due urne e una piccola lapide, la quale attesta parte delle spoglie ad una donna di nome Novia Amabilis. L’iscrizione “Amabiles” visibile sulla lastra è in realtà un errore di scrittura, dovuto ad un’errata pronuncia, comune all’epoca, delle parole terminanti con “-is”.
Il rito a loro riservato fu quello tipico pompeiano dell’incinerizione e sta ora ai ricercatori capire perché ricevettero una sepoltura diversa rispetto a Marcus Venerius Secundio. E scoprire soprattutto a chi appartenessero queste ceneri, sebbene gli archeologi ipotizzino che Novia Amabilis, per le cui spoglie fu utilizzato un meraviglioso contenitore in vetro, potrebbe essere stata la consorte di Marcus. I numerosi resti rinvenuti all’interno dei due vasi saranno estremamente preziosi per effettuare valutazioni accurate.
Fonte foto: Parco Archeologico di Pompei
Ora è tutto nelle mani dei ricercatori ed è loro l’importante compito di far luce su questo ennesimo frangente di vita umana riemerso dalla città sepolta. Uno scorcio ancor più raro dell’epoca, di un’era lontana, ma che a Pompei sembra non essere mai finita.
Giappone, archeologia, storia antica, videogiochi, horror, astronomia, marketing, scrittura. Sono felice quando gioco a Dragon Quest e quando tocco qualcosa di antico. Ho troppi interessi ed è per questo che amo scrivere: perché mi permette di viverli tutti.
Nata a Vicenza, sono laureata in Lingua Giapponese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ho vissuto per 1 anno a Sendai, nel Tohoku, e 2 anni a Napoli; mi sono specializzata in marketing e in quest’ambito lavoro ora nell’ufficio Marketing e Comunicazione di un’azienda TLC&ICT.. Il mio motto? 必要のない知識はない