Alba in versi: le porte aperte alla luce

Alba in versi: le porte aperte alla luce

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Fonte foto: Elisa Nanini

Alba: mito e movimento di luce nuova

L’alba, dall’aggettivo latino “albus”, bianco, racchiude in sé chiarore, splendore che si rigenera.

Parte integrante del pantheon divino greco, la dea dell’alba Eos , custode dei cancelli celesti che il carro del Sole deve varcare ciclicamente, è una figura ricorrente nel mito e nell’epica. Diversi e immaginifici sono gli epiteti omerici che accompagnano l’ingresso dell’alba nel distacco dal sogno al risveglio, dall’offuscamento al nitore: “figlia del mattino”, “dalle rosee dita”, “dal peplo di croco”, “dal trono d’oro”, ecc. Divinità legata a rinascite e metamorfosi, le sue lacrime per la perdita del figlio Memnone sono associate all’origine della rugiada.

Nell’arte vascolare greca del V secolo a.C. la passionale Eos viene rappresentata sempre in movimento, principalmente nelle tre azioni di portare luminosità mattutina, inseguire o rapire giovani avvenenti e trasportare in volo il corpo del figlio Memnone morto in battaglia. Si conferma quindi simbolo di un processo di iniziazione e transizione, ora dalla notte al giorno, ora dall’infanzia alla maturità, ora dalla morte all’immortalità eroica (cfr. Ilaria Sforza, La dea Eos e il trasporto di Memnone tra mito ed epica, Gaia, 2018).

Incontri poetici nelle ore di confine: Poesia Festival

In accordo con la sua raffigurazione mitica, l’alba è un momento di confine e mutamento: insieme al tramonto, è il regalo di una magia puntuale e quotidiana, il passo del sole oltre la linea che separa visibile e invisibile. Perciò la sua dimensione poetica non si circoscrive alla longevità di un tema letterario ma si estende talvolta a occasioni di incontro ed eventi. Ne è un esempio il Poesia Festival dell’Unione Terre di Castelli, che ha reso albe e tramonti protagonisti di una serie di appuntamenti estivi con letture e interventi musicali dal vivo in cornici particolarmente suggestive, tra pianura e colline modenesi. Le parole del Direttore Roberto Alperoli, pronunciate nel corso di una conferenza stampa tenutasi il primo luglio 2021 presso la Fondazione di Modena, tracciano il filo di luce che unisce luoghi, persone e versi:

“La luce della poesia ha un senso molteplice: è la luce dell’alba e del tramonto che in ognuno di noi muove una capacità di commozione e struggimento molto forte, ma è anche la luce della poesia, perché la vera poesia è sempre un accrescimento di vitalità e di visibilità sul mondo e sulle cose”

Alba in versi: le porte aperte alla luce

Poesia Festival, alba a Castelnuovo Rangone, Chiesa di Santa Maria del Tiepido.

Le porte aperte all’alba nei versi di Emily Dickinson

Lo spettacolo sempre emozionante delle tenebre che si diradano stende una pagina pulita su cui imprimere le note cromatiche di un nuovo inizio, interrogandoci sui passaggi cruciali dell’esistenza, entrate e uscite.

Anche nella profonda essenzialità dei versi della poetessa statunitense Emily Dickinson (Amherst, 1830 – Amherst, 1886) l’alba segna l’attraversamento di una soglia, un ineluttabile movimento da una fase a un’altra. Di seguito, la sua breve e intensa poesia (traduzione a cura di Giuseppe Ierolli):

“Non sapendo quando l’Alba verrà,

Apro tutte le Porte,

Abbia essa Piume, come un Uccello,

O Frangenti, come una Riva –

Parole scelte (“Alba”, “Porte”, “Piume”, “Uccello”, “Frangenti” e “Riva”) rintoccano e dipingono il destino di una traversata, nutrendo un desiderio di flessibilità di fronte alla proiezione di un altrove che permane comunque recondito nel tempo e nella forma della sua manifestazione. La vita dopo la vita mantiene acceso un grande enigma spirituale, l’animo si schiude alla speranza e, insieme, all’incertezza del futuro: le porte aperte predispongono un’entrata di luce, un nuovo soffio che potrà approdare con leggerezza piumata o con impeto di onda.

Alba in versi: le porte aperte alla luce

L’intima attesa dell’alba, venata di sottile inquietudine, si specchia così nell’accoglienza del possibile, dove la rinascita conserva mistero e sacralità.

“A metà tra due città”: le albe “Da un treno” di Maria Chiara Razzini

Destinazioni, in bilico tra arrivi e partenze, sono le albe che attraversano l’opera di esordio di Maria Chiara Razzini (Piacenza 1987), Da un treno (L’Erudita Editore 2022). Nella poesia A metà tra due città lo sguardo si dirige “con nostalgia” alle prime ore del giorno, affacciandosi su un contesto urbano dinamico:

“Prendere il treno al volo

dormire fino all’alba e tornare mentre i pendolari

[salgono.

Se prima un biglietto era un eccesso, ora è vietato senza

[un valido motivo.

Autodichiaro con nostalgia:

non era evasione, era un completamento di me

non era esagerazione, era esistere.

Ad ogni passo, leggevi con occhi nuovi settimane,

[mesi.

Quando la persona di cui ti fidi di più è in un’altra

[regione adesso solo il cellulare, come Commissario

[può intervenire per mantenere una forma.

Fin quando non ritorneranno le serate con la testa e il

[cuore liberi, a metà tra due città.

Sogno il tempo in cui si riavvierà il motore dei miei

[respiri, la vita che distillano quelle albe.”

Con versi lunghi e ritmati, riflessivi e, a tratti, ironici, la meta dei viaggi viene fissata nella metà mancante, in quel “completamento” che non si esaurisce mai ma è esso stesso “motore”. Dentro la dolorosa spaccatura dello spazio e del tempo che intacca gli affetti, una condizione pendolare rimpianta suggerisce una sorta di libertà nella freschezza stimolante di raggi e “respiri” all’unisono col risveglio del cielo.

Infatti l’esperienza può riscattare i suoi limiti solo nella rincorsa, nel coraggio di saper “prendere il treno al volo” quando l’alba diventa il finale migliore da cui la luce ricomincia.


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