Fonte foto: Elisa Nanini
L’attesa: “rivolger l’animo a”
L’attesa, come la speranza, racchiude all’interno della sua stessa parola un tendere verso: deriva dal latino attendĕre “rivolger l’animo a”.
Pur traendo il suo senso nel riflesso del domani, il gesto di attendere si dispiega nel mentre, nel tentativo di colmare una distanza. L’attesa, serena o tormentata, ha in sé infatti una paradossale componente di viaggio nella ferma perseveranza, una chiara scelta di direzionalità in grado di intrecciare attenzione ed emotività al tempo. Parole e immagini si sporgono quindi verso altre rive senza certezza di un approdo futuro, in una sospensione che condivide col desiderio la mancanza e l’incompletezza.
La scrittura poetica contemporanea continua a interrogarsi, a scavare in profondità dentro questo motivo, ripercorrendo la scia luminosa dell’attimo che ancora non è (e forse mai sarà) negli scorci urbani e naturali, tra strade, semafori, onde notturne e boschi.
Semafori e incroci: “L’attesa” di Yuri Ferrante
La raccolta L’attesa (PlaceBook Publishing 2021) di Yuri Ferrante (Modena 1983) coglie con immediata icasticità una serie di momenti appesi, di speranza, paura o sete di stupore.
Nella poesia L’attesa una scena estiva modenese, una donna e un uomo fermi al semaforo, offre un vivido spaccato di tensioni e incontri mancati:
“Sulla via Emilia Centro, dove le strade si incrociano
una donna a piedi ferma al semaforo,
lontana la mente, nel giovane sole di giugno.
Nell’attesa del lascia passare,
in bici un uomo si affianca.
Attende anche lui, l’asfalto scalda
tutto, ma non il pensiero
di un nero ricordo
che avanza.
Per un istante concede un’occhiata
alla gonna che danza con lo scirocco
un ritmo dettato dal vento,
lo spazio di appena un secondo.
E non sanno di amare entrambi
lo stesso parco nei tramonti cittadini,
di avere condiviso la gioia di un concerto
nella Firenze dell’estate scorsa.
Non sanno delle corse dell’altro
per perdere lo stesso treno.
Non sanno di non essere i soli
ad avere trascorso serate
pensando al mare di Hemingway
chiedendosi
quanto si possa aprire gli occhi
per vedere oltre il visibile.
Non lo sapranno mai.
Il palmo della mano a protezione
degli occhi, per accogliere il verde
che li separa.
Saranno le notti
a ricondurli su prati vicini,
dove si poseranno i loro pensieri
senza incontrarsi.”
L’attesa dell’attraversamento sconfina dalla superficie quotidiana sino all’abisso di percorsi paralleli senza contatto.
Significativo è l’isolamento del verso 26 (“Non lo sapranno mai.”) che spezza la simmetria delle prime due strofe e sentenzia l’occasione perduta. Il “verde / che li separa”, del semaforo come della vita, potrà quindi divenire per le due figure protagoniste una vicinanza di prati solo nel notturno e nel sogno, in uno sguardo comune “oltre il visibile”.
La ricerca del “cavallo bianco” nei versi di Luigi Golinelli
Anche i versi di Luigi Golinelli (San Felice sul Panaro 1955) si immergono nel mistero dell’attesa, riconoscendo in una ricerca creativa, capace di stimolare sensibilità e coscienza critica verso ciò che ci circonda, il motore e il significato della scrittura.
La poesia Ancora, tratta da La Golena. Raccolta di poesie (2012−2015) (Autoproduzione San Felice sul Panaro 2016), evidenzia nella costanza dell’attesa un valore da custodire e far crescere dentro il “recinto del silenzio”:
“Chiudiamo il pensiero
nel recinto del silenzio,
spegniamo le voci assordanti
che fondono il male ed il bene
senza identità.
Ascoltiamo ancora
l’onda del mare di notte,
andiamo nei boschi a
cercare il cavallo bianco
che corre in libertà.”
Con la prospettiva plurale di un sentito noi e perfettamente bipartito in strofe di cinque versi, il componimento delimita prima uno spazio del pensiero, una chiusura protettiva rispetto a grida che fondono “il male ed il bene / senza identità”, per poi realizzarsi in un invito all’accoglienza e all’ascolto.
Nella dimensione dell’attesa e della speranza la parola chiave “ancora” dilata e rivendica la volontà di continuare a sentire e sognare: dal riferimento a una sonorità marina e notturna ci si inoltra infatti in un finale quadro fiabesco, “nei boschi a / cercare” la scintilla indomita del “cavallo bianco”. Così credere nella possibilità di un incontro quasi fantastico diventa inseguimento della libertà.
Laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna, collaboro con il Poesia Festival e sono redattrice di «Hermes Magazine» e di «Laboratori Poesia». I miei versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nell’Almanacco «Secolo Donna 2022» (Macabor Editore 2022), in vari concorsi poetici e per riviste on line. Nel 2020 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore), e nel 2023 ho curato l’antologia Il grido della Terra (Macabor Editore).