Un fiume di parole: viaggio di vita e versi

Un fiume di parole: viaggio di vita e versi

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Fonte foto: Elisa Nanini

Il fiume e la metafora: soglie e attraversamenti

Il fiume, snodandosi e diramandosi di terra in terra con forza e slancio imperituro, disegna e insegna una geografia non solo fisica ma anche dell’anima e dell’espressione verbale. Stretto alle storie di luoghi e persone, proteso sempre in avanti, riformula nel suo viaggio acquatico e umano tra letteratura, arte, filosofia e modi di dire una riflessione sul linguaggio e sull’attraversamento.

In particolare, molteplici sono i piani di indagine della parola che legano il passaggio del fiume alla poesia: la stessa metafora (dal greco metá ‘oltre’ e phérein ‘portare’) si connette etimologicamente al trasferimento, al portare oltre. Il concetto di attraversamento esplora il limite e la dimensione simbolica, accoglie il mistero. Lo spostamento semantico custodisce l’esistenza di un altrove, mette in relazione il visibile con l’invisibile, come sostiene icasticamente Cristina Campo (Bologna, 1923 – Roma, 1977) nella raccolta di saggi Il flauto e il tappeto (1971):

“Acqua di velluto che sembra ferma e si muove, va oltre senza scorrere, tanto che basterebbe seguirla perché quell’oltre sempre vietato, sempre accennato dai sogni, fosse qui e ora. Ma importa, ora, quell’oltre? Della contemplazione del limite – di quel necessario perdersi, nascondersi, interrompersi della visione – la vita sembra nutrirsi, come l’uccello delle Upanishad che guarda il frutto senza mangiarlo. È un sapore improvviso, di intensità quasi straziante: che forse unisce in sé quello dell’ultima, tiepida acqua prenatale, già mischiata alla cruda aria del mondo, e quello stranamente ferale dell’acqua dolce che diviene salata all’estuario”.

Dove l’eterno abbraccia il movimento della vita, l’elemento primordiale dell’acqua oscilla dall’esteriorità all’interiorità, dallo spazio al tempo. Così nei versi la linea arteriosa del percorso fluviale diventa soglia, sguardo verso l’ignoto.

Il canto del fiume di Tone Pavček: “mai lo stesso e sempre vivo”

Il fiume contiene nella sua direzionalità un destino: “dalla fonte alla foce”, continuità e mutamento si compenetrano riflettendo il rinnovarsi di incontri, svolte e addii.

Un fiume di parole. viaggio di vita e versi

Il canto del fiume dello scrittore e traduttore sloveno Tone Pavček (Šentjurij, 1928 – Ljubljana, 2011) riporta il moto e la musicalità fluviale dentro una ricerca poetica di parole semplici e levigate, culminando in una piena esortazione alla corsa dell’acqua e della vita. Di seguito, la traduzione di Jolka Milič, pubblicata su Potlatch:

“Voglio pensare come pensa il fiume.

Correre dalla fonte alla foce

come lui che entro le sue rive

non è mai lo stesso e sempre vivo

scorre nell’eternità

e incessantemente esiste.

Scalza tutto ciò che sfiora

e si porta dietro, lava e sciacqua

gli errori del tempo, i guai degli avi,

la fiducia dei nipoti, l’incredulità,

l’entusiasmo e i meriti, moderando

tutto in giusta misura.

Corri allora. Semplicemente come il fiume.

Dalla sorgente fino all’estuario.

E non dimenticare come sono belli

i grembi dei salici, dove il vento

nasconde i suoi canti,

e gli irraggiungibili orizzonti.”

Il fiume, “mai lo stesso e sempre vivo”, nel paradosso di uno scorrere immortale che ci travolge e supera, consegna un’adesione incondizionata all’esistenza. Dagli “avi” ai “nipoti”, la corrente “lava e sciacqua” generazioni umane di affanni e speranze fino a donare la “giusta misura” in rapporto all’effimero e all’essenziale.

Pensiero e fiume trovano senso e prospettiva in un tragitto che è sconfinamento, tensione a una bellezza segreta di “canti” nascosti nei “grembi dei salici” e di “irraggiungibili orizzonti”.

L’armonia della solitudine lungo le rive del Po: Luigi Godino

La raccolta di poesie Una casa sul Po (Grafiche Zaccara 2024) di Luigi Godino (Rossano 1966) offre un cammino fluviale sia come esperienza concreta intessuta di ricordi e sensorialità sia come percorso di immaginazione e scrittura poetica.

Grazie alla collaborazione con l’artista Pietro Paganelli, di pagina in pagina si anima un dialogo serrato tra parole e illustrazioni, dove suoni e cromie si intrecciano, restituendo un’armonia della solitudine nell’ascolto della natura e di se stessi. Alternanze di luci e nebbie, di antichi sapori e cambiamenti avvolgono le sponde del Po e il diradarsi delle figure umane e animali negli anfratti sinestetici della memoria.

L’atmosfera di sospensione della poesia finale Non c’è più nessuno corona quadri di lontananze, introietta la solitudine fino a darle una dimora, una casa:

“Trattengo le mani in tasca,

il freddo questa notte

non perdona sulla riva,

e le stelle sono lontane

dai miei occhi.

L’odore secco del fiume

inebria la mia pace,

tace in questo buio lo scorrere

dove le voci sono un ricordo.

La lontananza delle cose terrene

diventa sempre più ampia,

qualcuno busserà

alla vecchia porta di legno,

non si aprirà,

solo una voce flebile dirà:

«Qui non c’è nessuno».”

Un fiume di parole. viaggio di vita e versi

Illustrazione di Pietro Paganelli (gessetti a olio 24x33 cm)

La rarefazione del paesaggio diventa sottrazione e insieme estensione dello sguardo. Freddo, buio e silenzio inverano distanze siderali, trasportano le “voci” nel “ricordo”.

“L’odore secco” del Po immerge in una dimensione solitaria di “pace”, permea un sentimento di partecipazione con l’universo nonostante l’assenza.

La “vecchia porta di legno” è chiusa, “non c’è nessuno”: il passato resta di spalle, protegge l’invisibile mentre il fiume e la vita proseguono il loro corso verso l’infinito.


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